giovedì 21 febbraio 2008

CONTRO IL LIBERALISMO RISORGIMENTALE

di Giovanni Boggero

Il monito lanciato da Andrea Bellantone dalle pagine dell'Occidentale poco più di un mese fa, mi ha fornito lo spunto per una breve e serena replica, il cui scopo non sta certo nel tradire le radici del liberalismo nostrano, bensì di vagliarne, diciamo, la loro effettiva "liberalità". Mi pare in effetti molto diverso dire: "senza il Risorgimento il liberalismo italiano non esisterebbe" dal sostenere che "senza il Risorgimento il liberalismo in Italia non esisterebbe". A mio avviso, il problema sta infatti nel valutare che tipo di liberalismo sia stato e sia quello del nostro paese. Per darvene una misura, è sufficiente esaminare la politica ecclesiastica del periodo risorgimentale, ottimo punto di partenza per incominciare a dubitare dell'equazione laicismo uguale liberalismo, pur così in voga in Italia.
Andiamo con ordine. Nell'Italia pre-unitaria l'unico ostacolo all'affermazione di una piena uguaglianza giuridica formale, così come la intendono i liberali, rimanevano, effettivamente, i privilegi ultrasecolari della Chiesa Cattolica. Purtuttavia l' "assai liberale" Stato italiano, in cambio di un cospicuo numero di immunità, trovava la sua lauta contropartita in quella serie sterminata di poteri, aboliti parzialmente nel 1870 e poi nel 1929 , quali l'exequatur, il regio placet ed altre forme di assenso governativo per la pubblicazione ed esecuzione degli atti delle autorità ecclesiastiche, per la destinazione dei beni ecclesiastici nonché per la nomina cesarea o regia in materia di provvista di benefici od uffici ecclesiastici. Addirittura, a quel tempo, esisteva il "ricorso per abuso" contro le sentenze e i provvedimenti dell'autorità ecclesiastica. Eliminare i privilegi era quindi cosa buona e giusta, attuare o proseguire in una politica giurisdizionalista riprendendola pari pari da Giuseppe II d'Asburgo (il quale molto laicamente- ed altrettanto "socialisticamente"- ebbe a dire: "La famiglia è troppo importante per lo Stato per essere lasciata alla Chiesa"), invece, era qualcosa di meno scontato e molto poco liberale. Lo stesso grande giurista Francesco Ruffini, chiamato a qualificare il sistema dei rapporti tra Stato e Chiesa in quegli anni, non esitò a definirli con lo stridente ossimoro: di "giurisdizionalismo liberale", non di "separatismo".

Se da un lato, dunque, con una mano la legislazione ecclesiastica dell'epoca emancipava gli Ebrei e i Valdesi (ingiustamente perseguitati da Vittorio Emanuele I e Carlo Felice), con l'altra procedeva alla soppressione ed espulsione della Compagnia di Gesù, in un clima di vendetta per i troppi favori avuti nel corso dei secoli. Il provvedimento, in tutto e per tutto simile alle affirmative actions odierne, non soltanto negava la personalità giuridica della congregazione, ma giungeva persino ad escludere il diritto di associazione e di riunione dei suoi membri! Uno dei più importanti capitoli dell'oltranzismo anti-cattolico, che non ebbe altro risultato se non quello di accentuare la chiusura e la severità del Vaticano, fu rappresentato dalle Leggi Siccardi del 1850 che eliminarono il Foro ecclesiastico, un Tribunale che sottraeva alla giustizia laica i chierici, il diritto di asilo, ossia l'impossibilità di procedere all'arresto di coloro i quali trovavano rifugio nelle Chiese nonché la celebre manomorta, la cui eliminazione comportò l'inalienabilità dei possedimenti della Chiesa ("Gli stabilimenti e Corpi Morali non potranno acquistare stabili senza essere a ciò autorizzati con Regio Decreto"). Non mi stupirei, quindi, se, in ottemperanza ai principi liberali del Risorgimento, in un prossimo futuro si negherà ai preti il segreto della confessione costringendoli, magari con un bel Decreto, a testimoniare in giudizio, in nome dell'uguaglianza giuridica laica. D'altronde, nel miglior spirito giacobino, era lo stesso Cavour a far sapere che avrebbe disposto di tutto ciò per il bene degli altri, ovvero che i suoi provvedimenti sarebbero stati "utili all'influenza del sacerdozio". La questione, come in molti hanno rilevato, era ben altra: l'ingente patrimonio della Chiesa Cattolica faceva gola ai grigi economisti dei Ministeri impegnati a rimettere in sesto le casse disastrate dalla Guerra condotta con indubitabile ferocia dal generale La Marmora. L'avocazione allo Stato divenne via via sempre più forsennata. Nel 1852 raggiunse la Camera una petizione che proponeva la riduzione del numero dei vescovi, l'abolizione dei conventi e l'abolizione dell'esenzione degli ecclesiastici. Nel 1855 il Vescovo e Senatore Luigi Nazari di Calabiana, di fronte ad un progetto di legge Cavour-Rattazzi, che avrebbe attuato una arbitraria soppressione degli ordini religiosi considerati inutili (a discrezione sempre dello Stato), si adoperò per fare cadere il Governo con l'aiuto del Re. Cavour cadde, ma risorse qualche settimana più tardi, riuscendo a far approvare il disegno di legge che fece chiudere 300 conventi con più di 5000 religiosi. Nel 1854 era passata poi un'altra legge di Urbano Rattazzi volta a reprimere, questa volta,la libertà di opinione di tutti questi preti non proprio obbedienti allo Stato, ossia di coloro i quali avessero pronunciato un "discorso contenente censura delle istituzioni e delle leggi dello Stato". Di impronta nettamente giurisdizionalista, furono poi le leggi che soppressero tutte le associazioni religiose incamerandone i beni, votate tra il 1866 e il 1867 per finanziare la terza e ultima guerra di indipendenza. La stessa Legge delle Guarentigie, che pur conserva in sé qualche principio separatista, venne dettata in modo unilaterale ad un Pontefice asserragliato in Vaticano, per non soccombere alla debellatio che i tanto liberali politici risorgimentali stavano organizzando, manu militari, ai suoi danni.

Il quadro storico tracciato non può quindi avere altro effetto se non quello di sconvolgere i nostri più intimi convincimenti circa il legame tra laicità e liberalismo. Alla luce di quanto raccontato infatti anche il celebre motto "Libera Chiesa in Libero Stato" risulta tremendamente vuoto e privo di senso. Anzi, si presenta davvero per quello che è stato: una sopraffina trovata propagandistica di Cavour mutuata da Lamennais, mai concretamente tradotta in un'iniziativa politica, bensì costantemente disattesa. E allora badate: quando vi parleranno ancora di laicità, l'uguaglianza di tutte le confessioni religiose e la pretesa neutralità dello Stato non saranno che il paravento politicamente corretto per nascondere il principio prettamente giacobino della libertà dalla religione. Nulla a che fare, insomma, con il liberalismo.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

L'Italia è un paese isterico. Hai ragione quando affermi che non c'è mai stato separatismo, ma mi sembra giusto ricordare che dal 29 all'85 si è attraversato un periodo, all'opposto, di vero e proprio confessionismo. Sai, è difficile trovare l'equilibrio giusto, e bisognerebbe che prima almeno i liberali al loro interno si mettessero d'accordo su cosa sia davvero la laicità delleo Stato. Infatti, sono sicuro che alcuni visitatori, leggendo la tua descrizione del sistema risorgimentale dei rapporti Stato-Chiesa avrà pensato: "bei tempi...". Ovviamente io non lo penso, ma so per certo che ci sono molti (non faccio i nomi, tanto sono noti) che ritendono che essere liberali significhi essere giurisdizionalisti.
Però voglio lanciare una provocazione, spezzando una lancia in favore di questi ultimi: non sarà che il problema è anche della Chiesa Cattolica stessa, che per sua natura è portata ad avere una vocazione temporalistica che eccede il concetto moderno e liberale di religione e che genera in questo modo un ineliminabile attrito con lo Stato?

Anonimo ha detto...

Io sono d'accordo con te. la Chiesa Cattolica ha la vocazione ad essere sempre (nel bene e nel male) presente, tanto più sul nostro territorio dove la presenza di un altro Stato, quello della CdV (a mio avviso il giusto risarcimento per anni di ingiuste oppressioni giurisdizionaliste) non fa che complicarle. Però è così è non si può fare diversamente, a meno che non si voglia ripercorrere quei sentieri risorgimentali tanto amati da Radicali che porterebbero ad un totale assoggettmaento dell'ordianmento giuridico canonico a quello statuale italiano.
In secondo luogo credo che si debbano distinguere due periodi (anche se della materia non sono proprio un esperto). Quello che va dal 1929 all'approvazione della Costituzione e quello che va dal 1946 al 1985. Nel primo periodo, sotto il fascismo, ci fu un chiaro confessionismo di Stato, che, a mio avviso, non è altro che un tipo di giurisdizionalismo particolare: lo Stato infatti continua a controllare occhiutamente il fenomeno religioso ma ne ammette soltanto uno favorendolo. Dal 1946 al 1985 le cose sono cambiate parzialmente perchè si è avuta pian piano, dopo govenri democristiani, l'introduzione di normative del tutto secolarizzate come quelle sul divorzio e l'aborto.
Allo stato attuale credo che si sia di fronte ad un sistema separatista, che garantisce la libertà religiosa a tutti e la libertà di operare ad ogni confessione tramite un accordo (intesa o Concordato che sia). La laicità è per definizione indifferenza nei confronti del fenomeno religioso, credo. Quindi il nosro paese, se così vogliamo metterla, non è affatto laico. E' plurale, a mio modo di vedere.

Francesco ha detto...

Separatista l'Italia? Non so... Credo piuttosto che il sistema delle intese sia un modo per assimilare le confessioni religiose a dei sindacati capaci di stipulare "contratti collettivi" riconosciuti dall'autorità. Non so se questo è molto liberale. Certamente è molto italiano.

Anonimo ha detto...

Io non credo sia giusto assimilare le confessioni religiose a sindacati o altre associazioni di categoria. Le confessioni religiose recano con sè degli ordinamenti giuridici, non sono mica semplici associazioni come ci danno ad intendere i Francesi!!! Garantire solamente una libertà di scelta religiosa e non al contempo la possibilità di operare secondo le regole del proprio ordinamento significa lasciare allo Stato l'imposizione di norme che contraddirebbero i più intimi convincimenti dei fedeli. Si pensi ad un ebreo costretto a lavorare di Sabato, il dovere dei ministri di culto di violare il segreto confessionale per testimoniare in un processo e così via. Questo sì sarebbe molto statalista.

Anonimo ha detto...

Ero io ovviamente.

Federico Zuliani ha detto...

Dico quello che vado ripetendo da sempre: il "problema" non è che la Chiesa dica la propria, quanto che vi siano politici che si fanno dettare l'agenda dall'Oltretevere...

Anonimo ha detto...

Il fatto è che i cattolici sono una comunità nel senso più pieno del termine, il che significa che rispondono agli appelli delle gerarchie ecclesiastiche. I protestanti sono più individualisti, è per questo che creano meno problemi per la laicità dello Stato.
Se un politico sa che una parolina buona di un ecclesiastico cattolico può spostare un numero consistente di voti, è difficile non "farsi dettare l'agenda dall'oltretevere"...

Anonimo ha detto...

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